La parola alle famiglie
Percorsi integrati e progetti di vita
Narrative based medicine
L'amaro in bocca |
Cristina |
Agosto 2003 |
Gent.ma dott.ssa Luchino
ho letto sul sito di conosciamocimeglio del suo progetto e le prime testimonianze
arrivate. Una, quella di Edi, con i suoi punti di domanda, è stata incredibilmente
toccante e, da genitore, straziante.
Molto bella anche la sua lettera "da medico", in cui spiega la sua
"conversione all'ascolto", per sintetizzare con questa mia brutta
definizione il complesso meccanismo che lei invece ben descrive e che l'ha condotta
ad intraprendere questa nuova iniziativa. Mi ha fatto molto piacere leggere
le sue parole, il suo ripensamento del ruolo della famiglia e del medico.
Con lei ho avuto alcuni scambi di note tramite il sito (su due argomenti: Nutrivene
e metodo Feuerstein). Entrambi i casi, devo dire la verità, mi lasciarono
con l'amaro in bocca. Non per le risposte, impeccabili sotto tutti i profili
(medico, sociale, psicologico,...), bensì per la "prevedibilità"
di esse, come se chi stava dietro si fosse domandato: "dunque, questa tizia
che non conosco e della quale non mi frega niente mi dice questo e quello. Io,
medico illuminato, cosa devo risponderle per continuare ad essere un medico
illuminato?".
So di essere ingiustamente troppo dura con lei, dottoressa, ma la nascita di
mia figlia mi ha condotta pian piano verso una diffidenza "a pelle"
nei confronti dei medici e dei terapisti, che mi fa essere fin troppo sensibile
alle sfumature. Chi si mostra più disponibile all'ascolto alla fine ne
fa le spese. Ma, spero di non essere fraintesa, non è assolutamente per
accusare o per fare sterile polemica. Solo per riflettere, quale mi pare che
sia lo scopo del suo progetto, almeno per il momento.
Facciamo però un passo indietro.
Quando la bimba è nata, tutti ci hanno detto più o meno le stesse
cose, cioè che noi dovevamo solo essere genitori, e affidarci a un buon
neuropsichiatra che sapesse prescrivere gli interventi giusti per la bambina.
Benone, ci siamo detti. Niente di più facile.
La strada più semplice è stata affidarci subito al servizio di
zona della ASL e alle terapie da loro proposte. Da subito ho assistito alle
terapie, che mi lasciavano molto insoddisfatta. La bimba era piccola, non collaborava,
piangeva.
Cos'ha oggi? È raffreddata? Saranno i dentini? Speriamo meglio la prossima
volta.
No, a casa non piange mai. Con me giocherella e si diverte. Non sarebbe più
opportuno che spiegaste a me cosa fare, come assecondare al meglio il suo sviluppo
psicomotorio, senza costringerla a queste forzature inutili?
No, lei è la mamma e solo la mamma, e la bambina va fatta anche un po'
piangere.
Mi sono voluta fidare degli specialisti e non del mio istinto per quasi un anno,
e ancora lo rimpiango. Poi ho sospeso tutto, fino ad arrivare ai 30 mesi, quando
si è reso necessario l'intervento logopedico. Questa volta, ci siamo
detti io e mio marito, non vogliamo sbagliare. Decidiamo per la libera professione,
delusi dall'esperienza precedente. Abbiamo consultato una ottima logopedista,
una ottima neuropsicologa, la quale a sua volta ci ha consigliato una logopedista
di sua fiducia. Anche qui, niente da dire sulla preparazione degli specialisti.
Ma le terapie mi lasciano sempre l'amaro in bocca. I bambini non sono collaborativi
"ad orari fissi", per cui la maggior parte delle volte l'ora di terapia
si risolve in un gran dispendio di energie per i genitori (andare a prendere,
portare, presenziare, organizzare alternative per gli altri figli, spesso pagarsi
terapie e alternative...) e per i figli, ma loro sono scocciatissimi e non hanno
assolutamente voglia di fare alcunché, con conseguente senso di frustrazione
nostra, e purtroppo anche loro, che percepiscono velocemente di non essere stati
all'altezza. Le (poche, nel mio caso, ma potrei generalizzare alla totalità
di genitori che conosco) volte in cui paiono partecipare più attivamente,
la mancanza di agganci "affettivi" con i terapisti limita molto, a
mio avviso, la qualità dell'apprendimento. Vedo che la bimba, per fare
solo un esempio, ricorda benissimo e fa proprie in produzione e in comprensione,
parole apprese con noi genitori, magari in contesti scherzosi, mentre dimentica
o non utilizza termini o fonemi su cui la logo ha molto insistito e la cui acquisizione
ha rappresentato, secondo lei, un successo.
E' ovvio che sto parlando della mia esperienza di genitore di una bimba in età
prescolare. Penso (e spero) che con il passare degli anni si vadano sganciando
gli apprendimenti dai fattori emotivo-affettivi, e che gli interventi terapeutici
diventino maggiormente utili, ma non ne sono tanto sicura.
E' da questa insoddisfazione di fondo che è maturato il mio proposito
(che per fortuna è anche quello di mio marito) di diventare non un terapista
di mia figlia bensì un genitore competente e attento, di rafforzare il
mio ruolo, di fidarmi più di me stessa e del mio istinto, in quanto conoscitrice
della bambina, che dei titoli degli specialisti che però non ritenevano
necessario ascoltare noi genitori o vedere la bimba per più di 10 minuti.
E' in questa chiave che ho letto con piacere il libro di Feuerstein, e utilizzato,
reinterpretandoli secondo la nostra concezione di famiglia, i suoi "principi
della mediazione". Ma non voglio di nuovo qui tornare sull'argomento, di
cui come dicevo ho già discusso con lei. Certo, tra i medici è
talmente diffuso il pregiudizio, di cui anche lei fa menzione (e che qualifica,
sorprendendomi, appunto come un pregiudizio), riguardo ai genitori-terapisti-formatori
e ai danni emotivi e relazionali che deriverebbero da un tale scambio di ruoli,
che spesso veniamo guardati con diffidenza. Del resto il confine tra "genitore
competente" e genitore-formatore (ma poi, perché, il genitore non
è un formatore?) che è facile puntare l'indice per chi vuole per
forza vedere una devianza. Questo fa sì che spesso, da genitori, si eviti
di essere "sinceri" fino in fondo, di aprirsi troppo di fronte ad
uno specialista, in un vortice di diffidenza reciproca.
Lei stessa dice inoltre, dal punto di vista del medico, che "siamo solo
apparizioni fugaci, nel tempo cambiamo, e l'unica vera continuità è
la famiglia".
Non solo. Sarà retorico, sarà ovvio, ma nessuno ha a cuore nostra
figlia, la sua qualità della vita, la sua personalità, quanto
ce l'abbiamo a cuore noi genitori.
Se avessi seguito alla lettera le indicazioni avute alla nascita della bimba,
che sembravano essere la ricetta magica per avere un buon rapporto affettivo
con lei, cioè mi fossi in un certo senso deresponsabilizzata per quanto
riguarda la sindrome di down e affidata ad un "bravo medico" (ammesso
che senza competenza e conoscenza alcuna si riesca a trovarlo) adesso avrei
in mano il classico "pugno di mosche", mentre questi anni di ricerche
e approfondimenti ci hanno lasciato, come famiglia, un forte senso di consapevolezza
e la sicurezza (se di certezze si può parlare in quest'ambito) di non
stare tralasciando nulla e, nel contempo, di "non stare facendo troppo".
Nel ciclismo si dice che se un ciclista cambia troppo spesso rapporto, il problema
non è del cambio ma delle gambe.
Ci ho pensato spesso, non è che non abbia mai fatto autocritica. Tante
volte mi sono detta: "ma saremo noi ad essere troppo esigenti", oppure
anche (della serie: facciamoci del male!) "non sarà che non siamo
mai soddisfatti di uno specialista perché non abbiamo ancora accettato
la bambina per quello che è?".
Mah, in tutta sincerità (non avrei nessuna difficoltà né
vergogna ad ammettere di non aver ancora accettato la bambina, come non ho nessuna
difficoltà né vergogna a dire che quando è nata ho pensato
seriamente di non riconoscerla), non credo che sia questo il punto. Credo invece,
e un po' la sua lettera e i suoi dubbi me lo confermano (solo per il fatto di
essere nati in una persona della sua esperienza), che al momento, a parte alcune
eccezioni, questi "percorsi integrati" siano davvero insoddisfacenti
e che la cosidetta "visione olistica" del soggetto semplicemente non
esista. O meglio, senza presunzione alcuna, la visione più completa della
nostra bambina nel suo complesso (medico, di sviluppo cognitivo e psicomotorio
e compagnia bella) ce l'abbiamo noi genitori, e ogni intervento che prescinda
da noi o che ci releghi ad un ruolo marginale è sicuramente destinato
al fallimento. Ossia all'inutilità (o addirittura alla dannosità),
in rapporto ai costi e benefici sopra la qualità della vita presente
e futura di nostra figlia.
Mi scusi il fiume di parole, per non dire niente di nuovo.
Buone ferie, se le sta facendo.
Cristina Cantoni
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