La parola alle famiglie
Percorsi integrati e progetti di vita
Narrative based medicine
Narrazione della propria storia di vita vissuta |
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Aprile 2004 |
Nostro figlio, che ha ora 27 anni e che non ha fratelli o sorelle,
nacque dopo essere stato intenzionalmente concepito durante il 38esimo
anno di mia moglie ed il 36esimo anno mio, nel 1976, e fu subito evidente
che è un Down come fu in seguito confermato dalla mappa cromosomica.
Né nella famiglia di mia moglie, né nella famiglia mia
ci erano stati casi di handicap, e tanto meno di trisomia dei quali noi
fossimo al corrente; al contrario i nostri familiari erano persone sane
ed anche longeve. Né noi sapevamo della maggiore incidenza della
sindrome all'aumentare dell'età materna.
La buona accettazione e l'assenza di rifiuto anche molto breve
di nostro figlio alla sua nascita penso sia stata favorita, ovvero determinata
per parte di mia moglie dal molto marcato senso della famiglia (che
le proviene dai suoi familiari), da un sentimento di responsabilità verso
un essere impotente, soggetto di tante necessità e suscettibile
di sofferenza, nonché da un'educazione e da una fede religiosa;
per parte mia fondamentelmente dal fatto che ricorrentemente e da molto
molto prima della nascita di mio figlio mi andavo dicendo che un figlio
comunque nasca e venga su va sempre accettato dai genitori, ora si potrebbe
dire per motivi di diritto umano.
Alla nascita di mio figlio l'aiuto affettivo dei famigliari e
psicologico degli operatori fu per me sostanzialmente nullo, né personalmente,
posso affermare senza presunzione, ne sentii bisogno particolare, ma
probabilmente l'aiuto dei familiari fu apprezzabile per mia moglie.
In ospedale alla notizia della sindrome (che non mi destò alcuna
acredine verso chi me la dava) capii subito cosa si intendeva, ma restai
impassibile e calmo. Questa per me è molto più una caratteristica
innata che un comportamento che io mi imponga. Comunque qui, se ce ne
fosse bisogno, vorrei dire che forse sono alcune persone chiuse di carattere,
che meno escono in lamenti ed esclamazioni, quelle che possono avere
maggiore necessità di essere non tanto amorevolmente( e forse
un poco ipocritamente) confortate, quanto decisamente e quasi violentemente
distratte da una pena acuta, che può durare per ore e per giorni.
Alla nascita di mio figlio capii subito che la mia vita cambiava profondamente.
Mi ero sposato tardi, e da scapolo avevo approfittato fino in fondo della
mia condizione di libertà. Per esempio mi era piaciuto fare lunghi
viaggi in moto senza mai sapere la mattina dove avrei dormito la sera,
e finendo sin dentro l'Asia. Ora tutto si prospettava diverso.
Anche perché l'evoluzione delle capacità e della
performance fisica e mentale di mio figlio procedeva tanto tanto lentamente
e limitatamente in confronto con i normali.
I progressi e le difficoltà si susseguirono per lunghi anni,
ed ancora, direi, continuano, sebbene ci sia stato un notevole assestamento.
Per parte mia una difficoltà aggiuntiva a convivere con l'handicap
di mio figlio, almeno negli anni dell'infanzia, specie quando dimostrava
problemi motori, (camminò a due anni e mezzo) può essere
stato il fatto che, come mio padre, ero stato educato allo sport, e ne
avevo praticato diversi con grande trasporto ed amore, tanto che inconsciamente
consideravo lo sport stesso irrinunciabile. Come conciliare le mie aspettative
con la mancanza di tono muscolare, anzi, la flaccidezza di mio figlio
bambino?
Ma in seguito le cose cambiarono moltissimo. Meraviglioso fu quando
a due anni e mezzo, dopo tanti tanti esercizi di fisioterapia, mosse
i primi passi. Ancora, ricordo il mio eccezionale piacere quando vidi
mio figlio piccolissimo che pagaiava in kayak come lo vedeva fare a me,
o quando abbandonandolo per qualche istante capii che riusciva ad andare
in bici senza che io lo sorreggessi dal sellino, o quando potei smettere
di sostenerlo mentre pattinava (sport che ha tanto perfezionato per la
grande dedizione della madre): allora la mia gioia fu grandissima. Altrettanto
bene andarono le cose per il nuoto, mentre dopo una caduta (per fortuna
senza conseguenze) mio figlio ha abbandonato il cavallo.
Psicologicamente penoso, e fisicamente faticoso fu per noi genitori
attendere fino a otto anni e mezzo che nostro figlio superasse l'incontinenza,
tanto che io, senza confessarlo a mia moglie, cominciavo a pensare che
il problema non si sarebbe mai risolto.
Gli interventi di logopedia, che pure durarono a lungo e con diverse
logopediste, non credo che per mio figlio siano stati molto determinanti
per la sua performance vocale definitiva, che ora rispetto ad altri Down è abbastanza
bene comprensibile. In sintesi il modo di mettersi in relazione verbale di mio figlio con il prossimo, partendo da un farfugliare molto poco
comprensibile, ma partecipativo, via via si è molto evoluto, da
prima nella pronuncia, ma poi, ed anche recentemente, nel contenuto,
ed ancora va evolvendosi aderendo maggiormente alle situazioni, arricchendosi
nel lessico, mostrando maggiore comprensione, maturità e graditissimo
humor.
Il carattere di mio figlio è forte, qualche volta fastidiosamente
testardo, ma per grande fortuna egli è in genere di buon umore e disposto allo scherzo, e giammai triste o depresso (infatti non conosciamo
le sue lacrime).
Nostro figlio fino a 15 anni frequentò la scuola pubblica insieme
ai bambini normali, usufruendo dell'insegnante di sostegno. Abbiamo
sempre ritenuto che una soluzione di questo genere non sia ottimale,
ma solo un compromesso, di qualità sempre meno buona man mano
che il bambino cresce e che aumenta il gap tra le sue potenzialità e
quelle dei normali. D'altra parte consideriamo anche negativamente
la tendenza imitativa degli handicappati verso comportamenti poco raccomandabili
di altri handicappati, come avviene specialmente nelle scuole speciali.
Forse per questo come per tanti altri problemi bisognerebbe riferirsi
alle migliori esperienze estere ed italiane, e puntare a motivare e formare
meglio le insegnanti di sostegno, decidendo che una parte delle ore di
lezione venga trascorsa in locali separati da quelli dei normali, con
differenti ausili didattici, e con la possibilità di interventi
differenziati anche a seconda della gravità e del tipo di handicap.
Ci ha infatti sempre molto colpito la forte differenza delle potenzialità intellettive
e fisiche in seno alla popolazione dei Down, e pensiamo che l'insegnamento
ne debba tener conto, anche se in Italia siamo lontani da certi sistemi
anglosassoni che persino per i bambini normali coetanei prevedono la
formazione di distinti “streams”di insegnamento a seconda
delle capacità.
L'impegno per la scrittura, la lettura e i numeri, che venne intrapreso
già dagli anni in cui imparano i normali, fu molto lungo, intenso
e faticoso, e vi si dedicarono numerose persone. Il bambino riempì con
i suoi tentativi una quantità di quaderni che ripensandoci mi
sembra quasi assurda, ma i risultati sono stati modesti, anche perché verso
i dodici anni nostro figlio ebbe una regressione mai recuperata, le cui
cause, non rivelateci da alcuno, ancora ci sfuggono, e non diventò mai
realmente alfabeta. L'insistenza dei tentativi, crediamo, fu tale
che il bambino provò persino un rifiuto all'apprendimento.
E' proprio sicuro che non esistano delle specie di test per comprendere
se un bambino ha la capacità di imparare a scrivere ancor prima
di tormentarlo (si scusi il termine) per anni? E poi, anche se non fu
il problema di nostro figlio, perché solo recentemente noi due
genitori abbiamo appreso che nel cervello umano il centro della lettura
sarebbe differente dal centro di comprensione della lettura stessa, tanto
che un bambino può leggere senza capire o quasi? In sostanza probabilmente
chi interveniva su nostro figlio con grande buona volontà e infinita
pazienza (della quale siamo comunque grati) non aveva idee veramente
chiare, e tanto meno noi.
Molto più tardi della fine di quegli interventi intensivi, all'incirca
verso i 23 anni le cose cambiarono; probabilmente le capacità di
nostro figlio, e soprattutto la consapevolezza del significato e dell'utilità,
e quindi l'interesse per la scrittura aumentarono, tanto che ora
lui spesso si apparta per scrivere più o meno in segreto qualche
parola sui post it, spesso per ricordarci impegni presi con lui, o per
chiederci qualche cosa, ossia sempre molto finalizzatamente. Oppure va
a scrivere con grande precisione gli appuntamenti che gli interessano
sui calendari murali che teniamo in casa. Di sua iniziativa non usa mai
la scrittura per cose che non abbiano interesse immediato per lui. Questo
sebbene sia ostacolato da una insistente dislessia, che gli fa fare tanti
errori.
Ora, retrospettivamente, ripensando al passato, siamo convinti che fu
grave errore insistere tanto e per tanti anni a insegnare lettura e scrittura
quando nostro figlio era immaturo, mentre probabilmente più tardi
i risultati sarebbero stati almeno un poco migliori. Per concludere questo
argomento, comunque, dobbiamo affermare che la molto incompleta alfabetizzazione
di nostro figlio probabilmente costituisce per noi genitori il maggiore
peso psicologico.
Specialmente nei primi, lontani anni, la nostra Associazione di famiglie
di Down (l'ABD), ai primi passi della quale demmo il nostro contributo,
ci fu di grande aiuto e sostegno informativo, di consulenza medica e
psicologico; pensiamo che anche nel futuro tale Associazione possa continuare
concretamente ad aiutarci, e siamo anche impegnati a contribuire secondo
le nostre possibilità alle sue necessità ed ai suoi sforzi.
Anche ai Servizi pubblici sentiamo di dovere tanto, e non di rado, considerando
che abbiamo contatti con loro da quasi un trentennio, ci diciamo che
la loro efficienza e le loro prestazioni sono andate via via migliorando.
I tanti viaggi compiuti da noi genitori con nostro figlio in Italia
ed all'estero, in auto, in camper ed in tenda hanno costituito
altrettante ottime e preziose occasioni di conoscenza, di sviluppo e
di sport per il ragazzo, e ci rammarichiamo solo tanto che negli ultimi
anni a motivo di impegni di lavoro e di assistenza a anziani nonni non
abbiamo potuto continuare a viaggiare. A titolo di esempio ricordiamo
come una volta, 17 anni fa, nostro figlio, dopo solo qualche giorno di
permanenza in Turchia, cercava insistentemente di pronunciare parole
turche con i camerieri che lo servivano.
Anche i soggiorni estivi insieme ad altri Down, praticati da nostro
figlio in diverse località italiane, vengono da noi considerati
molto positivamente, come ambiti distensivi, di rottura della routine
lunga, serrata, realmente pesante (anche se ben accettata) del Centro
diurno, di nuove conoscenze persino culturali (che crediamo spesso sottovalutate
dalle istituzioni), di pratica dello sport, di beneficio per il fisico
e di positiva assuefazione alla vita in comune.
Tra le attività ricreative di nostro figlio non vogliamo dimenticare
lo scoutismo, che lui ha praticato per circa dieci anni, inserendosi
abbastanza bene tra i compagni, che trattandolo con particolare attenzione
ed esentandolo dalle marce e dalle fatiche più pesanti ne ricevevano
essi stessi un notevole beneficio formativo. Questa esperienza tra l'altro
ha abituato il ragazzo a frequentare senza difficoltà gli ambienti
naturali e ad apprezzare la vita all'aperto.
L'autonomia di nostro figlio è attualmente abbastanza buona
quanto al vestirsi ed al mangiare; ottima per la pulizia personale. Lamentiamo
solo, e tanto, una grande, ineliminabile lentezza, che si rivela condizionante
specie nei tanti momenti di fretta che caratterizzano la vita familiare.
Grande titubanza abbiamo avuto nel permettere a nostro figlio di circolare
da solo per le strade del centro di Roma, dove abitiamo, per ben comprensibili
timori.
Di fatto nostro figlio ha iniziato ad uscire da solo verso i 23 anni.
Nei quattro anni successivi, ossia fino ad ora, i suoi trasferimenti
in città, usando anche la metro, e avvantaggiandosi del suo buon
orientamento, si sono molto incrementati, e non di rado esce di casa
quasi di nascosto, come per emanciparsi da noi, scappando a casa della
sua ragazza, distante da noi circa un chilometro, dove, per quanto trattato
con tanta gentilezza, si presenta senza preavviso alcuno.
Sul versante sentimentale ricordiamo, nel passato, delle simpatie di
nostro figlio per una compagna di associazione, ma di recente pare sia
sbocciato proprio un amore con un'altra Down, con intensità,
frasi ed atteggiamenti più maturi ed intensi di prima, ed espressioni
verbali che ci stupiscono per essere talmente simili, se non assolutamente
uguali, a quelle di un normale. In sincerità però crediamo
che non ci possano essere ulteriori e più implicativi sviluppi.
Sino a questo momento noi genitori non abbiamo particolarmente puntato
ad un'occupazione lavorativa di nostro figlio, ma specialmente
in relazione ai suoi ultimi positivi progressi, che con nostro grande
piacere continuano tutt'ora, pensiamo che ormai nostro figlio potrebbe
provare a inserirsi in qualche corso di avviamento, anche se in casa è piuttosto
incostante nelle piccole faccende, come apparecchiare e sparecchiare
la tavola.
Lo stato sanitario di nostro figlio è, per ora, un suo punto
di forza. Egli non ha mai presentato patologie di particolare rilievo,
e aiutato quando necessario dagli antibiotici ha superato con facilità le
influenze che capitavano. Tra le malattie esantematiche ha contratto,
sebbene vaccinato, il solo morbillo. Ricorrentemente ha sofferto di fastidiose
micosi curate con pomate. La madre lo sottopone a tutta una serie di
accurati controlli clinici annuali, e l'uso degli occhiali evita
a nostro figlio la fissazione dello strabismo (che si presentò sin
dai primi anni di vita) e gli corregge una modesta ipermetropia.
Avvicinandomi alla conclusione di questa narrazione devo ovviamente
accennare al futuro, ossia a come noi genitori ci prospettiamo la restante
vita del nostro figlio unico handicappato e la restante vita nostra,
anche se è altrettanto evidente che non possiamo prevedere tanti
avvenimenti che possono accadere nel tempo a venire. Ci viene detto che
la vita di un Down si aggira intorno ai 65 anni ( magari potessimo avere
dati maggiormente documentati). La probabilità che noi genitori
premoriamo a nostro figlio o che , invecchiati, non possiamo più accudirlo,
ed anzi necessitiamo noi stessi di aiuto è molto grande.
Con ogni sincerità, per quanto nostro figlio possa, dopo la nostra
fine, disporre di un appartamento, di una buona reversibilità (come “orfano
inabile”) delle nostre pensioni e di altro, crediamo del tutto
improbabile che conviva con i suoi cugini (pur se ne ha sette nella città dove
viviamo, tre in una città distante quattrocento chilometri e due
all'estero).
Egli quindi, crediamo, sarà istituzionalizzato, e negli anni
di possibile interessamento attivo che a noi genitori restano da vivere
dovremo per forza interessarci, specie nella nostra città e per
nostro figlio, di promuovere un'istituzionalizzazione umana, del
tipo di una casa famiglia, affidabile, solida, che si avvalga di tutte
le professionalità, istituzioni e collaborazioni disponibili,
che disponga di risorse economiche sufficienti (non ci sfugge trattarsi,
infatti, di soluzione molto costosa) e che venga efficaciemente controllata.
In questo senso pensiamo che le esperienze, che molto molto lentamente
e timidamente si effettuano sul territorio interessandosi idoneamente
solo di alcuni dei sopravvissuti, vadano intensificate, diffuse e perfezionate, “copiando” senza
complessi le meglio riuscite, e apprezziamo molto la consuetudine di
convivenza con altri Down che nostro figlio ha conseguito già da
tempo, ad esempio nei fine settimana organizzati dalla nostra Associazione
in appartamenti dedicati.
oooooo
Infine, quantunque non si tratti in senso stretto di narrazione di vita,
vorrei accennare al significato complessivo che da tanto tempo attribuisco
alla mia avventura umana.
Pur se convengo sulla difficoltà a giudicare quali vite siano
state “facili”, e quali “difficili”, ritengo
che la mia per diversi motivi , tra i quali mio figlio, sia stata tra
le seconde, e non tra le prime.
Di questo sono profondamente contento, al di fuori di ogni dubbio o
ipocrisia. Una vita facile, da fortunato e da vincente a tutto campo,
per come io sono fatto mi avrebbe impedito di capire tante cose, di entrare
in “simpatia” con altri dalla vita difficile. Quel poco che
mi pare di aver capito specialmente delle persone e dei loro problemi
sono state le difficoltà e (perché no?) la sofferenza a
farmelo capire, e ne sono felice perché valeva la pena!
Scritto da un papà con la collaborazione e verifica
di una mamma
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