Io e mia sorella
Intervista a Federico Girelli pubblicata sul settimanale "Grazia", n. 42 del 21/10/2003 Storia di Federico e del suo intenso, struggente rapporto con Maria Claudia,
affetta da Sindrome di Down. Storia di complicità, fatica,
vecchi giochi e nuovi modi per restare insieme. Perchè, dice
lui, "fratelli” vuol dire "per tutta la vita".
In piedi, le braccia allargate come in una danza: solitaria, silenziosa.
Maria Claudia si culla in un ritmo che solo lei riesce a sentire: a
destra, a sinistra, lentamente. Muove le dita nell'aria come se
stesse disegnando qualcosa, qualcosa di trasparente. Non alza quasi
mai la testa. Se non per lanciare sguardi brevissimi, arguti. Che
cosa ha visto? Che cosa ha capito che noi non riusciamo a capire?
Maria Claudia è affetta dalla Sindrome di Down. Ha 26 anni, ed
è tanto minuta da sembrare poco più che bambina.
Federico ha 31 anni, una bella faccia, una carriera universitaria da
tempo avviata, una fidanzata dai capelli lunghi e scuri. Gli capita
di sorridere spesso mentre parla: con la concitazione di un ragazzo e
il tratto elegante di un vecchio gentiluomo. Maria Claudia e Federico
sono fratelli. E questo è tutto. Perché, come dice
Federico, non c'è rapporto più duraturo di
questo: inizia che non sei ancora nato e finisce quando finisci tu.
Oggi sono a casa, qui a Roma, per stare un po' con noi. «Ieri
abbiamo sfogliato "Grazia”, volevo che Claudia conoscesse
il vostro giornale», dice Federico. «Volevo vedere se le
piaceva». E dunque? «Va bene, l'ha guardato e poi è
tornata a riprenderselo. Segno che l'ha incuriosita. Claudia sa
perfettamente che cosa le piace e che cosa non le va». Claudia
sa, ma non parla. «Diceva alcune parole da piccola e poi le ha
perdute», spiega Federico, «Ricordo che io e i miei
fratelli scrivevamo lunghe lettere ai nonni: un accurato
aggiornamento sulle nuove parole, su tutte le conquiste di Claudia».
I fratelli (più grandi) sono Raffaella e Giovanni che oggi
vivono altrove. «È stata Raffaella a spiegarmi quel che
aveva Claudia. Quando è nata avevo cinque anni: non capivo che
cosa fosse successo. Vedevo mio padre nervoso, mia madre stravolta.
Sapevo che Claudia era malata di cuore, ma che con una operazione
sarebbe guarita». E allora? Qual era il problema? «Il
problema si chiamava, genericamente, ritardo mentale. Un eufemismo
che io, comunque, non riuscivo a capire. E allora Raffaella (dieci
anni o giù di lì) mi ha spiegato. Mi ha detto: "Hai
presente l'Archimede Pitagorico dei fumetti? Ogni volta che ha
un'idea... pac, gli si accende una lampadina sulla testa. Ecco,
a Claudia, quella lampadina, si accende molto, molto dopo”.
Dunque questo era il ritardo mentale...Meraviglie dell'alleanza
tra fratelli. Prodigi di una solidarietà fatta di paure
condivise, confusioni dipanate insieme, spaventi sedati con
«spiegazioni logiche» trovate nei fumetti. La storia di
Federico è fatta di mille di questi ricordi, momenti in cui,
insieme ai fratelli, ha diviso il dolore, la fatica (e anche la
responsabilità) di aiutare Maria Claudia. «Ricordo
interi pomeriggi passati a sollevare cartelli con sopra grandi
disegni colorati. Claudia doveva imparare ad associare gli oggetti
alle parole, che noi scandivamo ad alta voce una alla volta. Poi»,
aggiunge ridendo, «c'era da fare il "percorso di
guerra”». Che roba è? «Claudia doveva
imparare a muovere in sincronia il braccio destro con la gamba
sinistra (e viceversa). Per farlo doveva strisciare lungo il
corridoio: pancia a terra, come un marine delle truppe d'assalto.
E allora giocavamo a farlo tutti insieme. Raffaella dice: uno, due,
tre, pronti, via... E si partiva all'attacco del nostro nemico
immaginario». Il «percorso di guerra» è un
complicato dedalo di stanze e corridoi di questa grande casa. Per
raggiungere Claudia, che nel frattempo si è rifugiata in
camera sua, davvero ci si perde. È stanca Claudia? Non vuole
più vederci? «No, no per niente, oggi è di ottimo
umore, ma qualche volta le piace restare da sola». Gli umori di
Claudia sono al centro dell'attenzione di suo fratello: lui
riesce a sentirli e a decodificarli. Adesso, per esempio: è
difficile dire da che cosa abbia capito che lei è contenta
della nostra visita. Federico domanda e poi dolcemente interpreta le
immobili risposte di sua sorella. C'è qualcosa di
simbiotico a unirli, qualcosa che ricorda da molto vicino il rapporto
di una madre con il figlio neonato: lei sa quello che lui non sa
dire. Come fa? Domanda ridicola. E profana. Claudia torna in salotto
a trovarci, si siede accanto al fratello, ma non lo sfiora. «A
volte avrei voglia di accucciarmi accanto a lei. Per respirare un po'
del suo silenzio, della sua calma. Lei ci sta, ma dopo un po'
mi caccia via», racconta Federico ridendo. «Poi, quando
fa comodo a lei... C'è stato un periodo (un brutto
periodo) in cui Claudia non riusciva a dormire. La notte vagava per
la casa sveglia come se fosse giorno pieno. Per farla addormentare le
cedevo un po' del mio letto. Dormivo schiacciato contro il
muro, mentre lei, finalmente rilassata, invadeva tutto lo spazio
possibile. Il giorno dopo mi svegliavo tutto accartocciato, e mi
mettevo a studiare. Era un periodo strano, per certi versi faticoso.
Di giorno, quando tutti uscivano, nel silenzio della casa c'era
solo Claudia con me. Sentivo la sua presenza nell'altra stanza
e facevo fatica a concentrarmi. Dovevo dare un esame, ma dovevo anche
occuparmi di lei. Dovevo isolarmi, ma non potevo lasciarla sola.
L'ordine delle priorità mi si capovolgeva continuamente
nella testa. E si placava solo con qualche compromesso: un po'
di studio, poi si fa la torta insieme... Ancora qualche pagina, poi
si va a comprare il gelato, oppure in giardino a lavare il motorino,
o al parco a passeggiare...». C'è molta armonia e
un certo affanno nelle parole di Federico. C'è
preoccupazione, ma non per il futuro («Di Maria Claudia ci
occuperemo noi. Va bene così: nessuno lo dice, ma un disabile
è destinato a passare la maggior parte della sua vita con i
fratelli, a loro spetta il compito di continuare quando i genitori se
ne vanno»). A preoccupare Federico sembra più il
presente, con le sue malinconie. «Claudia sa, capisce che
qualcosa non va in lei. Sa di non poter fare quello che altri fanno
senza sforzo, sa di non poter arrivare dove altri arrivano. E a
volte, questa consapevolezza la riempie di rabbia o di tristezza.
Altre volte no. C'è gratitudine, in lei. Quando, la
domenica mattina, l'aiuto a fare la doccia, vedo gioia nei suoi
occhi. Quando la rivesto (pulita, profumata) mi accorgo che mi guarda
come se le avessi fatto un regalo, aiutandola in qualcosa che da sola
non sa fare. Sono momenti belli, in cui riusciamo a ‘dirci'
tante cose». Federico e i suoi fratelli sono cresciuti sapendo
che dovevano occuparsi di Maria Claudia. «I genitori di bambini
disabili hanno, di solito, due reazioni opposte. C'è chi
tende a "difendere” gli altri figli, sottraendo il
fratellino malato al loro sguardo e alle loro preoccupazioni. E c'è
chi, invece, sceglie la via della responsabilizzazione. A volte
persino eccessiva, fin troppo pesante... E così ti capita un
pomeriggio di pensare: "Ho proprio voglia di fare un giretto
con Claudia”, poi senti tua madre che ti dice: "Mi
raccomando: occupati di tua sorella”. E allora ti passa la
voglia, ti viene da scappare via». Federico ha condiviso il suo
dolore di «fratello» con un gruppo di amici. Hanno
cominciato a incontrarsi cinque anni fa, ragazzi e ragazze con una
cosa in comune: un fratello affetto da Sindrome di Down. Da lì
è nato un gruppo di auto-aiuto (vedi box). «Un giorno
(un giorno che non dimenticherò) uno di noi scherzando ha
detto: "Ho un Down” e io, per la prima volta, sono
riuscito a dirmi: ce l'ho anch'io, il Down. Anch'io
sono giù. Anch'io ho un problema. Non solo mia sorella,
non solo mia madre. Anche per me tutto questo è faticoso. So
di essere fortunato. Per esempio nessuno mi ha mai discriminato per
il fatto di avere una sorella malata (a molti capita, sembra
impossibile, ma è così). E poi sono sempre riuscito a
vivere il mio rapporto con Claudia con una certa serenità: mi
è sempre sembrato normale occuparmi di lei. Eppure ho dovuto
aspettare molto tempo (e incontrare altri "fratelli” come
me) per riuscire a dirmi anche la mia sofferenza». È
quasi sera, Maria Claudia è, di nuovo, tornata dal suo piccolo
esilio nella sua stanza. In piedi davanti a noi, con la sua lenta
danza, sta cercando di dirci qualcosa. Federico le chiede: «Sei
stanca? Vuoi che usciamo a comprare un gelato?». Lei lo
trapassa con il suo sguardo acuto. Federico ha capito il messaggio:
«Hai ragione Claudia. Niente gelato: non sei più una
bambina...».
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