La notizia
di Alessandro Capriccioli, 3 Marzo 2004
Antonio non arrivava a casa.
Non che io avessi un'idea, sia pure indistinta, di quale fosse la normale procedura
di ritiro di un neonato dall'ospedale: quando era arrivato Ruggero non avevo
che quattro anni, e i ricordi di quel periodo erano fatti più dalle
foto che giravano per casa che dalla mia memoria; tra l'altro riottosa, come
avrei imparato più tardi, a ripescare con ordine gli eventi della
mia vita dal calderone della mia testa incasinata.
Però, a pensarci adesso lo ricordo distintamente, a un certo punto cominciai
a nutrire qualche dubbio: le lungaggini della consegna di quel fratellino
mi insospettirono, insieme a qualche lacrima di mia madre, malcelata nel buio
della sua camera, a qualche silenzio preoccupato di mio padre, senza alcun
tentativo di celarlo seppure male, a scampoli di conversazione colti qua
e là durante gli appostamenti a fiato sospeso che cominciai a praticare
nei corridoi e ffuori dalle stanze, con amici di famiglia troppo presenti a
casa nostra rispetto alle abitudini che sino ad allora avevo conosciuto.
Fu tra quei frammenti che mi atterrò nelle orecchie a
sventola, per la prima volta, la parola mongoloide, sibilata da qualcuno come
un mantra sconosciuto, oscura sequenza di lettere che smontai e rimontai nella
mia mente, da solo, senza riuscire a darle un senso compiuto; se non dopo un
paio di mesi, con l'aiuto di un amico medico che mi spalancò davanti
agli occhi una spiegazione affettuosa, insieme a un libro grosso
e pesante come il significato, da quel momento svelato, di quel mantra,
con cui negli anni successivi avrei tentato quotidianamente di fare pace.
Non ho mai parlato con i miei di quel come, della notizia che non sono stati
capaci di raccontarmi nel modo in cui avrei voluto, del buio fitto di quei
lunghi sessanta giorni, in cui mi arrabattavo inutilmente a mettere insieme
in un oggetto concreto le immagini e le parole che rimediavo in giro per casa
come briciole di Pollicino; non l'ho mai fatto e credo che non lo farò mai,
consapevole del fatto che quell'arcana sequenza di lettere, da allora, è stata
comunque meno oscura per me piuttosto che per loro.
Non avrebbero potuto chiedere a me, allora, di aiutarli a capire?
Alessandro
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