Quando Giorgia nacque
per contribuire alla raccolta di testimonianze dei familiari sulla comunicazione
della diagnosi, raccolte in Quando nasce un bambino Down
Mio marito ed io abbiamo sempre vissuto un po' sopra le righe, tra lunghi
viaggi, lavori all'estero, cambiamenti di abitudini dall'oggi al
domani. Considerati da parenti ed amici personaggi alquanto originali, abbiamo
gestito le nostre esistenze sempre in massima libertà.
Malati, per così dire, anche a causa della nostra giovane età,
di una sorta di delirio di onnipotenza, ci crogiolavamo nella convinzione di
un futuro pieno di sorprese, di successi nel lavoro, di passione e forti emozioni.
Abbiamo convissuto, senza problema alcuno, per molti anni e poi un bel giorno,
con estremo stupore di tutti coloro che ci conoscevano, abbiamo deciso, di
comune accordo, di intraprendere il discorso del matrimonio e della genitorialità.
Così ci siamo sposati in chiesa (alla faccia delle convinzioni viscerali
del periodo universitario!) e subito abbiamo desiderato un figlio.
I dolci voli pindarici sono affiorati alle nostre menti praticamente in contemporanea
ed io, da brava mogliettina, a pochi mesi dal fatidico sì, sono rimasta
incinta.
Quanto amavamo quel bambino, ancora prima di vederlo, ancora prima di sentirlo
muovere!. Cambiavo fisicamente e psicologicamente e questo mi meravigliava.
Poi un giorno, alla 34ª settimana, andai ad un controllo ed il rinomato professore
che mi sottopose all'ecografia, diagnosticò per mia figlia una
forma di nanismo. Fu un colpo per noi e, data l' autorevole cattedra
da cui proveniva la "sentenza", fui così scossa che il giorno
dopo partorii, dando alla luce Giorgia che non era assolutamente nana ma che,
probabilmente, era down.
L'attesa per il risultato del cariotipo era interminabile, ed in quei
giorni le sensazioni si susseguirono vorticosamente, paure che si manifestavano
con nodi allo stomaco e lunghi pianti. Ma la piccola creatura era, paradossalmente,
la nostra consolazione; nella sua incubatrice ci infondeva la speranza, ci
dava la forza di reagire. Lei era più brava di noi e ci insegnava.
Poi, al momento della conferma dei sospetti, tutto lo staff medico ci fu molto
vicino, dandoci informazioni importanti e rassicurandoci amorevolmente.
Fu come se un peso grandissimo scivolasse via dal mio petto, finalmente sapevo
una verità meno dura da sostenere, per me, dell'incertezza. Finalmente
potevo iniziare a pensare al domani in termini positivi per la mia famiglia,
finalmente avevo le armi per affrontare la mia nuova situazione,
Il dolore e l'amore si fusero e diventammo un monolite nei confronti
del vuoto che si stava formando intorno a noi.
Disorientati, travolti ed angosciati, non fummo confortati, bensì dovemmo
confortare, comprendere e rassicurare le schiere di parenti, amici e conoscenti
che erano letteralmente inebetiti alla vista di quell'essere.
La mia piccola Giorgia incuteva paura senza aver fatto nulla di male, solo
perché non era come la avevano immaginata tutti. Era spaventoso, non
saperla down, bensì vederla appena nata già isolata.
Neanche noi l'avevamo immaginata così, anche noi avevamo paura
ma, sicuramente, eravamo più giustificati essendo i genitori!.
E' umana la debolezza, me ne rendo conto, ma invece di fare cerchio intorno
a noi, ci giudicarono. Saremmo stati infelici, secondo loro, prevedevano una
vita di privazioni, sempre ossessionati dalle problematiche di quella figlia.
Eravamo i soliti due matti avendo optato,di comune accordo, per non fare l'amniocentesi.
La tristezza maggiore è stata proprio ascoltare le parole ed assistere
alle disperazioni delle nostre rispettive madri e dei nostri padri, è stata
vedere il progressivo allontanamento di tanti creduti amici, gli occhi colmi
di commiserazione.
Quanto amore negato!.
Guardando Giorgia, il nostro tesoro, sentendo il suo piccolo respiro sul petto,
così indifesa e piccola, capimmo che avremmo combattuto il vuoto. Avremmo
trasformato quell'inizio vissuto come un funerale, in una festa, avremmo
lottato per riscattare nostra figlia dal "timbro" con il quale
era stata bollata addirittura dai nostri padri e dalle nostre madri, saremmo
andati avanti con o senza di loro.
Il primario di neonatologia dell'ospedale in cui ho partorito, al momento
delle dimissioni di Giorgia mi disse: "signora, il cammino non è facile
ma è meno arduo di quanto lei possa immaginare ora. Viva serenamente
e non si lasci travolgere da condizionamenti esterni alla sua famiglia, cerchi
di creare un nucleo compatto ed allontani tutto ciò che può alterare
il vostro equilibrio".
Quelle parole mi risuonano tuttora nella testa e ne ho fatto tesoro. Ora, a
distanza di quasi due anni, Giorgia è circondata dall'amore di
coloro che hanno capito,che hanno visto oltre le apparenze, che hanno aperto
il cuore, e questo basta.
Non sono più quella di prima, sto crescendo e ne sono soddisfatta.
Rossella Catalano
|