Parole dette tanto per dire
L'estate del 1996 era finita da poco più di due settimane, il grande
caldo era ormai un ricordo lontano, ed io mi stavo finalmente godendo quei
tiepidi giorni d'autunno, nell'attesa del parto imminente. In casa il clima
era elettrizzato, eravamo tutti ansiosi di conoscere Francesca: Giorgia, la
mia unica figlia, aspettava ormai da qualche anno l'arrivo di questa sorellina
tanto desiderata.
Era stato l'anno delle Olimpiadi di Atlanta, me le ero guardate praticamente
tutte, soprattutto la ginnastica artistica,Yuri Chechi aveva vinto il suo ultimo
oro piroettando sugli anelli, riscattandosi dalle olimpiadi precedenti. Anche
Francesca nella mia pancia si divertiva a piroettare, non stava ferma un minuto,
in ogni momento un colpetto, era davvero una bambina con tante energie!! Mi
dicevo "è così vitale che non può non aver assorbito
tutta la ginnastica che mi sono guardata in TV!", insomma, ero in uno
stato di beatitudine tale che mi sembrava del tutto normale fantasticare in
questo modo… la immaginavo come una bimbetta curiosa e saltellante,
con lo sguardo furbo e intelligente, le avevo già dato un'immagine ideale
di come l'avrei voluta e desiderata.
Finalmente la sera del 9 di ottobre, cominciai ad avvertire qualche contrazione,
così, sicura che di lì a poco sarei dovuta partire per l'ospedale,
anzichè andare a dormire, mi misi a guardare un po' di TV. Quell'anno,
al Festival del cinema di Cannes, il premio di miglior attore protagonista
era andato ex- aequo ad un attore con la sindrome di down, Pascal Duquenne,
protagonista del film L'Ottavo giorno; il film era appena uscito in Italia
e veniva pubblicizzato molto: così quella sera, nel mio zapping nervoso
in attesa dell'intensificarsi delle contrazioni, mi era capitato più di
una volta di vedere il trailer del film. Devo dire che nelle mie paure più recondite,
c'era il timore che la bambina potesse essere Down o chissà cos'altro,
però cercavo di essere fiduciosa e di tenere lontani da me questi cattivi
pensieri. Perché avrebbe dovuto proprio toccare a me? Non c'era motivo
di dubitare che la mia bambina non fosse sana, con tutte le capriole che faceva,
poi! Insomma, non so cosa mi prese, ma sentii nascere in me una sorta di inquietudine,
paura, angoscia, timore, forse perché sono sempre stata una persona
che crede in certi "segni"… ed io vedevo nell'insistenza di
quelle immagini, nel viso di quell'attore, non più la casualità,
ma un segno del destino. Ero come sospesa in un limbo: non avevo più così tanta
fretta di conoscere questa bambina, non ero più sicura di niente…
Ad un certo punto le contrazioni si fecero più insistenti, non si poteva
più aspettare, così mi decisi a svegliare Franco, mio marito,
per farmi accompagnare in ospedale. Alle 05:35 del mattino del 10 ottobre,
Francesca nacque. Nella concitazione del momento sentii la ginecologa esclamare
sorpresa un "Oh!" coperto, solo in parte, dal pianto di Francesca… mi
sentii sollevata da quel pianto, ma la bambina venne portata via immediatamente…vidi
mio marito, che era stato con me fino a quel momento, "correre" dietro
alla bambina… non capivo, nessuno mi diceva nulla ed io avevo paura
di chiedere. L'ostetrica e la ginecologa erano molto professionali… parlavano
fra loro e, a me non dicevano nulla, era come se fossi un oggetto, messo lì per
caso. Quel silenzio asettico faceva male: cominciai ad irrigidirmi dalla tensione,
così ci volle più di un'ora perché la placenta uscisse
dal mio corpo. Sentivo arrivare, dalla stanza adiacente, le voci ovattate di
mio marito e del pediatra…avevo sentito piangere la mia bambina, cosa
c'era allora che non andava? Non riuscivo ad immaginare cosa potesse avere…
Senza che nessuno si fosse ancora degnato di dirmi qualcosa, fui portata nella
camera d'ospedale che mi era stata assegnata: ad attendermi c'era una neo-mamma
con la quale avevo appena fatto in tempo a scambiare due parole prima di entrare
in sala travaglio. Deve aver capito dai miei occhi che c'era qualcosa che non
andava, oppure l'infermiera le avrà fatto capire che non era il caso
di fare domande…chissà, comunque in quel momento entrò anche
Franco… finalmente avrei saputo, ma cosa?
Il suo sguardo parlava da solo e anche se oramai non mi facevo più illusioni… speravo
di essere dentro un incubo.
"La bambina è nata senza palato e con il labbro leporino. Io credo
che abbia anche la sindrome di Down, mi sembra che sia Down. Ne ho chiesto conferma
al pediatra ed anche lui lo sospetta, ma dice che devono fare la mappa cromosomica
per averne la certezza!"
Con queste dolorose e lapidarie parole che non concedevano neppure un "ma",
un "se", un "forse"… ho dovuto fare i conti. Non
so dove abbia trovato il coraggio mio marito, per dirmele.
Lì per lì, ero talmente incredula che non mi riusciva neppure
di piangere o di disperarmi, mille pensieri si affacciavano nella mia mente:
come avrei fatto a dirlo a Giorgia? Come sarebbe stata adesso la nostra vita?
Perché alla mia bambina Francesca? Cosa aveva fatto per meritarsi questo?
No, non poteva essere vero, i medici si erano sicuramente sbagliati… e
comunque, io un mostro proprio non lo volevo… speravo che morisse all'istante.
Non volevo neppure andare a vederla, quella non era mia figlia! Volevo andare
a casa, non avevo senso che rimanessi in quel luogo di letizia per tante altre
mamme. Per circa tre ore mi passarono per la testa le idee più folli,
forse anche quella di buttarmi dal balcone dell'ospedale, poi Franco mi chiese
di ripensarci, di andare a vedere la bambina… vedrai, non è così brutta!
Vedrai è carina, piccola, un fagottino tenero. Per fortuna che almeno
lui pareva aver assorbito il colpo, altrimenti…
Poi, alla fine ho raccolto tutto il mio coraggio, non so dove ho trovato la
forza per andare a "conoscere" il mostro, e quando l'ho vista, così piccola
dentro quella grande culla, così piccola dentro quei grandi vestitini…qualcosa
dentro di me si è sciolto, quella era la mia bambina, era Francesca,
come avevo potuto pensare tutte quelle cose atroci? Che male aveva fatto, come
potevo io, la sua mamma, voltarle le spalle? Allora l'ho presa in braccio,
me la sono annusata, l'ho baciata e l'ho stretta forte: con la morte nel cuore,
ho accettato questa bambina diversa da come l'avevo sognata e da come l'avrei
voluta. Ora c'era questa bambina ed era lei che dovevo amare.
Dopo poche ore, è arrivata Giorgia, tutta pimpante con il suo bel mazzo
di rose, trepidante di conoscere la sorellina. Non volevamo fargliela vedere,
avevamo paura di una reazione negativa, volevamo prepararla, magari poter prima
parlare con qualcuno che ci potesse aiutare in questo senso, in fondo aveva
solo otto anni! Non ci sono stati né se e né ma, ha voluto per
forza vederla. E' sempre stata una "testona", così a malincuore
abbiamo ceduto alla sua richiesta: per Giorgia, Francesca era ed è bellissima.
Tralascio volutamente tutto il discorso sui medici e sul mancato supporto psicologico.
La scarsa sensibilità sia umana che professionale riscontrata nel primario
e vice-primario del reparto pediatria dell'ospedale dove è nata Francesca,
non vale neppure lo spenderci qualche parola. Un dizionario di frasi di circostanza,
luoghi comuni, spesso dettati dall'ignoranza, dalla scarsa conoscenza o addirittura
dalla supponenza. Questo ha contribuito a rafforzare in me l'idea che, se non
si sa cosa dire, è meglio tacere. Un silenzio è pur sempre meno
doloroso, di tante parole dette tanto per dire.
Francesca è stata nutrita per sette mesi con un sondino. E' stato un
periodo molto difficile ed intenso, quasi interminabile: incombeva su Francesca
lo spettro di un intervento di innesto osseo per la ricostruzione del palato
e la chiusura della fenditura del labbro, la paura che qualcosa potesse andare
storto era tangibile, reale. In questo periodo Francesca ha avuto il tempo
di "addomesticarmi" a lei, perché anche se la riconoscevo
come mia figlia, come parte di me, avevo momenti di sentimenti contrastanti
nei suoi confronti: a volte la odiavo, altre la amavo con tutta me stessa,
altre ancora pensavo che se fosse morta alla nascita tutti i miei problemi
sarebbero spariti… e poi, c'erano momenti in cui mi vergognavo di lei.
Stavo elaborando il lutto, non so se riuscirò mai a perdonarmi per tutti
questi cattivi pensieri… spero che siano umani, almeno.
Ora Francesca ha sette anni, io ho raggiunto da tempo il mio equilibrio: le
voglio molto bene e davvero non riesco ad immaginare la mia vita senza di lei, è molto
importante per tutta la mia famiglia. L'avere accettato Francesca con tutta
la sua diversità è stato come rinascere a nuova vita, dopo tanto
dolore.
Se mi volto indietro, quasi sorrido per tutte le paure che avevo, vedo il mio
passato con occhi diversi, più distaccati e quell'antico dolore è quasi
sopito.
Certo è, che Francesca e tutti i bambini diversi devono guadagnarsi
da subito il nostro amore, la nostra piena accettazione, per loro nulla è scontato,
devono faticare sempre per dimostrare agli altri, al mondo esterno che anche
loro sanno fare, possono dare. Purtroppo deve partire da noi e da loro la chiave
di apertura a questo nostro mondo, sta in noi far capire che la vita non finisce
per colpa di un cromosoma in più, far capire che la nostra è sì una
vita più difficile, ma non per questo meno intensa o meno vera.
Non ci crederete, ma si può essere felici anche con un figlio down,
davvero!
Ah, dimenticavo! Francesca continua ad essere sempre in movimento... non è diventata
una ginnasta, ma continua a fare le capriole... la diverte molto!
Andai anche a vedere L'ottavo giorno… forse non avevo lo spirito adatto
in quel momento alla visione del film e quindi, non mi piacque… soprattutto
perché sono convinta che Dio, l'ottavo giorno, non è vero che
creò i diversi… semplicemente, quel giorno si distrasse un attimo...
come spesso gli accade!
Milena Portolani
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